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Dal Pakistan all’Africa: enormi problemi richiedono enormi soluzioni

 

I cambiamenti climatici, le migrazioni connesse a questi, i processi di desertificazione in atto, l’insicurezza alimentare di gran parte del mondo, l’impoverimento degli ecosistemi e delle comunità umane che li abitano. Queste sono tutte sfide che il mondo contemporaneo si trova a dover combattere.

La negligenza o la sottostima di problemi sistemici nei decenni passati, ha condotto oggi alcune aree del mondo a dover intraprendere percorsi gravosi ma necessari. L’essere umano, del resto, nel corso della sua storia è stato capace di costruire un equilibrio tra l’autodistruzione e la capacità di invertire tendenze. Su questo secondo aspetto tuttavia, analisi e studi da alcuni anni rilanciano preoccupazioni sempre più concrete circa l’irreversibilità di certe situazioni, piuttosto che sull’avvicinamento a punti di non ritorno.
Si pensi, per citare uno degli esempi più famosi, alla Conferenza sul Clima di Parigi del 2015 e ai timori sollevati riguardo il surriscaldamento degli oceani. [1]

Si prospettano enormi partite da giocare per le attuali generazioni.
Enormi problemi che richiedono enormi soluzioni.
In questo articolo, a tal proposito, vediamo insieme due macro-progetti che hanno preso piede negli ultimi anni.

Sfide
Bambù

Pakistan

 

Il 5 giugno 2021, la Giornata Mondiale sull’Ambiente è stata ospitata dal Pakistan.
L’appuntamento ha dato il via a un decennio fondamentale sotto il profilo delle iniziative legate al virtuosismo ambientale, che durerà fino al 2030 (anno individuato per il raggiungimento dei cosiddetti Global Development Goals, di cui già abbiamo parlato qui: https://www.tripinyourshoes.com/it/i-17-obiettivi-dellagenda-2030/).
Proprio il paese asiatico, a fronte di una delle peggiori situazioni al mondo sul piano della deforestazione, ha lanciato ormai da alcuni anni un piano ambizioso, denominato Ten Billion Tree Tsunami Programme.

È stato inaugurato nel 2019 dal Primo Ministro pachistano Imran Khan, personaggio piuttosto interessante nel panorama politico internazionale. Ex campione del mondo di cricket, star sportiva di Islamabad, persona asiatica dell’anno 2012 secondo l’Asia Society, nel 2018 è stato eletto premier del Pakistan, dopo oltre un ventennio di carriera politica attiva (nel 1996 aveva fondato il Movimento per la Giustizia, una formazione anti-sistema di stampo nazionalista).

Ebbene, questa proposta ha ricevuto il supporto dello United Nations Environment Programme (UNEP), e ha l’obiettivo di piantare circa dieci miliardi di piante sul territorio locale, generando un recupero massivo di terreni degradati. Si dà il caso infatti che nel periodo tra il 1999 e il 2019 l’intera fascia settentrionale del paese sia piombata in una emergenza ambientale.
Questa area, che comprende le due principali province (la Khyber Pakhtunkhwa e la F.A.T.A.), ha infatti subito il 90% della deforestazione pakistana[2], con perdite superiori ai 40mila ettari all’anno nel decennio 2000-2010.

Senz’altro l’aver ospitato l’ultima Giornata Mondiale sull’Ambiente può aver offerto ulteriore linfa alla strategia di medio periodo impostata da Islamabad. Lo slogan scelto dalle Nazioni Unite è: “Reimagine. Recreate. Restore.”, ponendo l’accento sul ripristino degli ecosistemi naturali.

Nel caso specifico, la piantumazione della mangrovia lungo i corsi fluviali vuole essere una delle colonne su cui poggiarsi per il rinverdimento del Pakistan, essendo un tipo di vegetazione che è sempre cresciuta in abbondanza lungo tutto il continente asiatico.  Il suo ruolo come “guardiana delle foreste” è preponderante: pensate che senza di essa, il 39% in più della popolazione mondiale sarebbe annualmente a rischio alluvionale.[3] Makkio Yashiro, coordinatore regionale degli ecosistemi per l’UNEP, ha dichiarato che: “Le mangrovie sono uno strumento importante nella lotta ai cambiamenti climatici. Riducono il carbonio nell’atmosfera e hanno anche un senso finanziario. Il ripristino delle mangrovie è cinque volte più conveniente rispetto alla costruzione di “infrastrutture grigie”, come i muri contro le inondazioni, che non aiutano nemmeno con i cambiamenti climatici”.

La volontà istituzionale lungo tale direzione è sottesa anche a obiettivi geopolitici di soft power.
L’era dei Green Deal, delle campagne aziendali di green washing e della ricerca di sostenibilità è sotto gli occhi di tutti, dunque la speranza è che a questa si accompagnino risultati tangibili.
Uno degli effetti più positivi del Ten Billion Tree Tsunami Programme, aldilà dell’ambiente, potrebbe generarsi nel mondo del lavoro, con la creazione di oltre 5mila posti nel settore “verde”.

Secondo quanto dichiarato, questa immensa opera di rimboschimento potrebbe giungere a conclusione entro il 2023, aprendo nuove prospettive nel subcontinente indiano.

La Great Green Wall potrebbe essere completata entro il 2030
Mangrovia

The Great Green Wall

 

Un altro progetto dalle grandi ambizioni viene definito Great Green Wall (GGW), prende in considerazione l’Africa e nel gennaio 2021 ha ricevuto oltre 14 miliardi di dollari di investimenti.
Ma andiamo con ordine.

Di cosa si tratta intanto?
Di un piano volto a contrastare il processo costante di desertificazione e di impoverimento dei terreni, tipico dell’intera regione del Sahel.
Dal Senegal a Gibuti, attraverso una fascia che attraversa undici paesi diversi lungo una direttrice Est-Ovest. La strategia prevede la crescita di una cintura continua di alberi di circa ottomila chilometri.
Tale area, di uno spessore misurabile in varie decine di chilometri, dovrebbe avere l’obiettivo di attivare un circolo virtuoso tra l’ambiente e coloro che lo abitano. Oltre a un recupero della vivibilità del territorio infatti, si punta a garantire la sicurezza alimentare delle popolazioni, il supporto finanziario per iniziative di crescita sociale e uno sbocco occupazionale a milioni di persone. Quest’ultimo punto almeno è quanto si augura Mohamed Cheikh El-Ghazouani, presidente della Mauritania.

Le intenzioni si sono fatte concrete a partire dal 2007, ma è dagli anni Cinquanta che si è ventilata la possibilità di realizzare una mastodontica muraglia verde nel cuore africano.

Allo One Planet Summit for Biodiversity, tenutosi a Parigi nel gennaio del 2021 ed organizzato dalla Francia, dalle Nazioni Unite e dalla Banca Mondiale, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato l’importante investimento in favore dei lavori in corso. [4]
Va tenuto in considerazione l’interesse che l’Eliseo storicamente nutre per il Sahel, regione subsahariana compresa tra l’Oceano Atlantico a occidente e il Mar Rosso a oriente.

E’ qui che si gioca la partita contro il deserto, per dare un futuro alle nuove generazioni e una speranza alla biodiversità che si sviluppa a queste latitudini.
Per poter dare fattibilità alla Great Green Wall serviranno ulteriore cospicui finanziamenti, tuttavia l’intenzione sembra essere quella di completare i lavori entro il 2030.

Noi ci speriamo, sarebbe un ottimo segnale lanciato da un continente che sarà protagonista del prossimo secolo.

Pietro Buatier

 

Foto via: Time Magazine; Axel Fassio/Cifor; Pixabay.