Un’Italia più calda
Prima di parlare del clima del futuro, dobbiamo introdurre i Percorsi Rappresentativi di Concentrazione (Representative Concentration Pathways, RCP) ovvero degli scenari climatici espressi in termini di concentrazioni di gas serra e che vengono usati dai climatologi come base per prevedere i cambiamenti climatici. Sappiamo infatti che l’innalzamento delle temperature è strettamente correlato all’emissione di gas serra in atmosfera, più ne emettiamo e più il pianeta si riscalderà. Nel Report sono stati utilizzati due diversi scenari RCP:
RCP 4.5: Questo scenario è considerato il più realistico, con le emissioni di gas serra che raggiungeranno un picco verso il 2040, per poi iniziare a declinare, portando ad un aumento delle temperature medie globali di circa 2°C.
RCP 8.5: Questo scenario è il più terribile, non prevede infatti l’avverarsi di politiche di mitigazione e dunque prevede una crescita delle emissioni ai ritmi attuali, portando, entro il 2100, ad un aumento delle temperature medie globali di circa 5-6°C.
Partendo da questi scenari RCP, sono stati utilizzati dei modelli climatici per prevedere il clima dell’Italia del 2100. Le previsioni dicono che vivremo in un’Italia più calda, con un aumento delle temperature medie di circa 3,2°C per RCP4.5 e di circa 6,3°C per RCP8.5.
A questo punto vi starete chiedendo: Come mai le temperature medie attese per l’Italia sono più alte rispetto a quelle globali? Il cambiamento climatico è un fenomeno estremamente complesso, che non interesserà tutto il mondo allo stesso modo, ci saranno aree meno colpite ed altre invece più colpite. Il bacino mediterraneo, di cui l’Italia fa parte, è considerato uno degli “hotspot” del cambiamento climatico, con un riscaldamento che supera del 20% l’incremento medio globale (Lionello e Scarascia, 2018).
A livello nazionale le precipitazioni annuali non dovrebbero variare di molto, ma questo risultato è dovuto all’effetto “compensazione”: ci saranno aree del nostro paese, infatti, in cui le precipitazioni aumenteranno ed altre in cui diminuiranno. Andando nel dettaglio le regioni del centro-sud saranno caratterizzate da una forte diminuzione della piovosità, che potrebbero causare frequenti periodi siccitosi e carenze idriche, in particolare durante l’estate. Al contrario nelle regioni settentrionali ed in particolare nelle zone alpine, assisteremo ad un aumento delle precipitazioni.
Ma il clima dell’Italia del 2100 sarà caratterizzato soprattutto dall’instabilità. Vedremo aumentare infatti i fenomeni climatici estremi, come le piogge torrenziali, le gelate fuori stagione, le notti tropicali (durante le quali la temperatura non scenderà sotto i 20°C) o i periodi siccitosi.
Città a rischio
Le città sono delle vere e proprie “isole di calore”, il cemento e l’asfalto assorbono le radiazioni solari, accumulando calore durante il giorno e rilasciandolo durante la notte. Abbiamo già visto come le temperature saliranno in tutta Italia, ma nelle città potrebbero salire anche di 5°C o perfino 10°C in più rispetto alla campagna circostante. Le città diventeranno un vero e proprio ambiente inospitale, con frequenti ondate di calore che porteranno ad un aumento di danni sulla salute dovuti allo stress termico, come crisi ischemiche, ictus e disturbi metabolici.
È stato studiato inoltre un legame tra l’incremento delle temperature e l’inquinamento. L’ambiente urbano è caratterizzato da elevate emissioni sia di gas ad effetto serra (CO2, CH4) ma anche di sostanze quali SO2, NO2, CO, benzene (C6H6), particolato fine (PM10 e PM2.5) e ozono troposferico (O3) che compromettono la qualità dell’aria. Queste sostanze non sono originate solo dalle attività umane, ma si formano anche in atmosfera. L’aumento delle temperature nelle città potrebbe, infatti, agire sui legami fotochimici dei loro precursori presenti in atmosfera, innescando reazioni secondarie che portano alla formazione di questi agenti inquinanti. Di conseguenza le aree urbane saranno più inquinate di quanto già non siano, con grandi rischi per la salute umana.
Come abbiamo detto, in futuro dovremo aspettarci un aumento di piogge intense, le quali rappresentano un grande rischio non solo per le città, ma per buona parte della popolazione italiana. Il 91% dei comuni italiani risulta infatti a rischio per frane e alluvioni; mentre oltre 7 milioni di persone vivono in aree definite a “maggiore pericolosità” (Legambiente, 2019), questo è largamente dovuto al consumo di suolo.
Il consumo del suolo ha trasformato infatti suoli permeabili (prati, boschi, campi) in superfici impermeabili ricoperte di cemento, riducendo la capacità di drenaggio dei bacini idrografici. In altre parole, in caso di piogge torrenziali, l’acqua non riuscirebbe ad essere trattenuta dal bacino e causerebbe frane, allagamenti e altri disagi. Come avvenuto tra il 24 ed il 29 ottobre del 2021 nel Catanese e nel Siracusano, dove delle forti precipitazioni(sono stati misurati più di 300mm di pioggia a Catania) hanno portato ad alluvioni su tutto il territorio, con gravi danni ad edifici e infrastrutture,causando anche la tragica morte di tre persone.
Il rischio geo-idrologico non sarà uguale per tutti: è stato studiato infatti che le zone di maggior “disagio sociale” presentano un maggior consumo di suolo, rispetto alle aree più ricche. Per fare un esempio banale, appare evidente a tutti come nei centri delle città italiane ci siano più aree verdi, rispetto alle aree periferiche. Questo comporterebbe una relazione biunivoca tra disagio sociale ed una maggiore esposizione al rischio climatico da eventi estremi (Munafò, 2019).