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Italia 2100: come sarà il clima nella penisola?

 

Circa 11 700 anni fa, ebbe inizio l’Olocene, un’epoca meravigliosa, caratterizzata da un clima stabile, che ha permesso all’uomo di inventare l’agricoltura e di organizzarsi in civiltà sempre più complesse, fino ad arrivare ad oggi. Ma adesso non viviamo più nell’Olocene, bensì in un’epoca dominata dall’uomo, l’Antropocene, e questa nuova era  è caratterizzata dal cambiamento climatico. Per la prima volta da millenni, la temperatura media globale si è già alzata di circa 1°C, rispetto ai livelli dell’era preindustriale. Gli effetti dell’innalzamento delle temperature non si sono fatti attendere, l’aumento di fenomeni meteorologici estremi (ondate di calore, siccità, forti piogge), l’innalzamento del livello del mare, la diminuzione del ghiaccio Artico, l’incremento degli incendi boschivi e la perdita di biodiversità si sono già manifestati e molti altri ancora si manifesteranno in futuro, man mano che aumenteranno le temperature.

Questo è un fenomeno globale, che interessa tutti quanti, compresi noi italiani. Sorge dunque spontaneo chiedersi: Quali saranno gli effetti del cambiamento climatico sul nostro paese? E come sarà l’Italia del 2100?

Per rispondere a queste domande ci può aiutare il report “Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia”, pubblicato nel 2020 dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC). Qui di seguito leggerete di come i cambiamenti climatici influenzeranno il clima italiano, le nostre città, l’agricoltura, le foreste e l’economia.

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Un’Italia più calda

 

Prima di parlare del clima del futuro, dobbiamo introdurre i Percorsi Rappresentativi di Concentrazione (Representative Concentration Pathways, RCP) ovvero degli scenari climatici espressi in termini di concentrazioni di gas serra e che vengono usati dai climatologi come base per prevedere i cambiamenti climatici. Sappiamo infatti che l’innalzamento delle temperature è strettamente correlato all’emissione di gas serra in atmosfera, più ne emettiamo e più il pianeta si riscalderà. Nel Report sono stati utilizzati due diversi scenari RCP:

RCP 4.5: Questo scenario è considerato il più realistico, con le emissioni di gas serra che raggiungeranno un picco verso il 2040, per poi iniziare a declinare, portando ad un aumento delle temperature medie globali di circa 2°C.

RCP 8.5: Questo scenario è il più terribile, non prevede infatti l’avverarsi di politiche di mitigazione e dunque prevede una crescita delle emissioni ai ritmi attuali, portando, entro il 2100, ad un aumento delle temperature medie globali di circa 5-6°C.

Partendo da questi scenari RCP, sono stati utilizzati dei modelli climatici per prevedere il clima dell’Italia del 2100. Le previsioni dicono che vivremo in un’Italia più calda, con un aumento delle temperature medie di circa 3,2°C per RCP4.5 e di circa 6,3°C per RCP8.5.

A questo punto vi starete chiedendo: Come mai le temperature medie attese per l’Italia sono più alte rispetto a quelle globali? Il cambiamento climatico è un fenomeno estremamente complesso, che non interesserà tutto il mondo allo stesso modo, ci saranno aree meno colpite ed altre invece più colpite. Il bacino mediterraneo, di cui l’Italia fa parte, è considerato uno degli “hotspot” del cambiamento climatico, con un riscaldamento che supera del 20% l’incremento medio globale (Lionello e Scarascia, 2018).

A livello nazionale le precipitazioni annuali non dovrebbero variare di molto, ma questo risultato è dovuto all’effetto “compensazione”: ci saranno aree del nostro paese, infatti, in cui le precipitazioni aumenteranno ed altre in cui diminuiranno. Andando nel dettaglio le regioni del centro-sud saranno caratterizzate da una forte diminuzione della piovosità, che potrebbero causare frequenti periodi siccitosi e carenze idriche, in particolare durante l’estate. Al contrario nelle regioni settentrionali ed in particolare nelle zone alpine, assisteremo ad un aumento delle precipitazioni.

Ma il clima dell’Italia del 2100 sarà caratterizzato soprattutto dall’instabilità. Vedremo aumentare infatti i fenomeni climatici estremi, come le piogge torrenziali, le gelate fuori stagione, le notti tropicali (durante le quali la temperatura non scenderà sotto i 20°C) o i periodi siccitosi.

 

Città a rischio

 

Le città sono delle vere e proprie “isole di calore”, il cemento e l’asfalto assorbono le radiazioni solari, accumulando calore durante il giorno e rilasciandolo durante la notte. Abbiamo già visto come le temperature saliranno in tutta Italia, ma nelle città potrebbero salire anche di 5°C o perfino 10°C in più rispetto alla campagna circostante. Le città diventeranno un vero e proprio ambiente inospitale, con frequenti ondate di calore che porteranno ad un aumento di danni sulla salute dovuti allo stress termico, come crisi ischemiche, ictus e disturbi metabolici.

È stato studiato inoltre un legame tra l’incremento delle temperature e l’inquinamento. L’ambiente urbano è caratterizzato da elevate emissioni sia di gas ad effetto serra (CO2, CH4) ma anche di sostanze quali SO2, NO2, CO, benzene (C6H6), particolato fine (PM10 e PM2.5) e ozono troposferico (O3) che compromettono la qualità dell’aria. Queste sostanze non sono originate solo dalle attività umane, ma si formano anche in atmosfera. L’aumento delle temperature nelle città potrebbe, infatti, agire sui legami fotochimici dei loro precursori presenti in atmosfera, innescando reazioni secondarie che portano alla formazione di questi agenti inquinanti. Di conseguenza le aree urbane saranno più inquinate di quanto già non siano, con grandi rischi per la salute umana.

Come abbiamo detto, in futuro dovremo aspettarci un aumento di piogge intense, le quali rappresentano un grande rischio non solo per le città, ma per buona parte della popolazione italiana. Il 91% dei comuni italiani risulta infatti a rischio per frane e alluvioni; mentre oltre 7 milioni di persone vivono in aree definite a “maggiore pericolosità” (Legambiente, 2019), questo è largamente dovuto al consumo di suolo.

Il consumo del suolo ha trasformato infatti suoli permeabili (prati, boschi, campi) in superfici impermeabili ricoperte di cemento, riducendo la capacità di drenaggio dei bacini idrografici. In altre parole, in caso di piogge torrenziali, l’acqua non riuscirebbe ad essere trattenuta dal bacino e causerebbe frane, allagamenti e altri disagi. Come avvenuto tra il 24 ed il 29 ottobre del 2021 nel Catanese e nel Siracusano, dove delle forti precipitazioni(sono stati misurati più di 300mm di pioggia a Catania) hanno portato ad alluvioni su tutto il territorio, con gravi danni ad edifici e infrastrutture,causando anche la tragica morte di tre persone.

Il rischio geo-idrologico non sarà uguale per tutti: è stato studiato infatti che le zone di maggior “disagio sociale” presentano un maggior consumo di suolo, rispetto alle aree più ricche. Per fare un esempio banale, appare evidente a tutti come nei centri delle città italiane ci siano più aree verdi, rispetto alle aree periferiche. Questo comporterebbe una relazione biunivoca tra disagio sociale ed una maggiore esposizione al rischio climatico da eventi estremi (Munafò, 2019).

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Un’agricoltura meno produttiva

 

L’olocene è stato un periodo con un clima incredibilmente stabile, per millenni la durata delle stagioni, le temperature e le precipitazioni sono state facilmente prevedibili e questo ha permesso la nascita e lo sviluppo dell’agricoltura. Ma oggi non è più così, le temperature si stanno alzando, le precipitazioni diventano instabili ed in alcune aree ci sarà la siccità. Come influirà tutto questo sull’agricoltura nell’Italia del 2100?

Molte colture risponderanno all’incremento delle temperature medie con un’accelerazione del ciclo di crescita, che potrebbe sembrare positivo, ma che in realtà potrebbe limitare il periodo a disposizione per l’accumulo di biomassa e di conseguenza portare a riduzioni della resa (Ciscar et al., 2018; EEA, 2019).

Un grande problema per l’agricoltura del domani, soprattutto al Sud, sarà la carenza d’acqua. Il calo delle precipitazioni e l’aumento dei periodi siccitosi, soprattutto durante i mesi estivi, porteranno ad un calo dell’acqua disponibile per l’irrigazione ed alla competizione per l’acqua tra vari settori. Sarà necessario chiedersi quanta acqua destinare agli agricoltori, quanta all’industria e quanta alle abitazioni civili. Meno acqua a disposizione comporta delle rese più basse, per il mais ad esempio potremmo aspettarci una perdita di resa del 20%.

A causa del cambiamento climatico, inoltre, alcune aree potrebbero diventare troppo calde o siccitose per la coltivazione dei loro prodotti tipici, mentre altri territori, posti più a Nord o ad altitudini maggiori, potrebbero ospitare colture mai cresciute prima in queste zone. Immaginiamo ad esempio un’Italia futura in cui la coltivazione della vite e dell’olivo potrebbe diventare impossibile, o molto meno produttiva, in Calabria. Al contrario le Alpi potrebbero avere dei climi ideali per ospitare queste colture.

Non dobbiamo però dimenticare che il clima del 2100 sarà molto più instabile rispetto a quello degli ultimi millenni. Sempre più agricoltori vedranno il loro raccolto perso a causa di eventi climatici estremi, come forti piogge, grandinate, gelate fuori stagione, siccità o ondate di calore.

 

Foreste in fiamme

 

Con il cambiamento climatico le foreste si “muoveranno”. No, non vedremo alberi sollevarsi sulle radici ed iniziare a camminare; ma vedremo molti territori diventare troppo caldi o troppo aridi per ospitare alcune specie forestali e di conseguenza vedremo scomparire molti tipi di alberi da alcune zone e migrare in altre con un clima più favorevole. Questo fenomeno colpirà in particolare gli Appennini, dove il calo delle precipitazioni sarà molto significativo, mentre le Alpi, diventeranno delle vere e proprie aree rifugio per la migrazione di molte specie forestali (Noce et al., 2017).

Alcuni alberi però riusciranno a sopravvivere nei loro areali originali e prenderanno il posto lasciato libero da coloro che non avranno resistito. A resistere saranno quelle specie meno esigenti in termini di disponibilità idrica e più capaci di tollerare periodi siccitosi e caldi più lunghi (Bussotti et al., 2014).

Per essere chiari, le foreste italiane nel 2100 potrebbero essere completamente diverse per composizione da quelle di oggi. Le pinete di Pino Marittimo rischiano di scomparire, dagli Appennini scompariranno l’Abete Bianco, il Pino Silvestre e molte altre specie, che troveranno riparo solo ad altitudini elevate o sulle Alpi. A trionfare invece saranno le querce mediterranee, come il Leccio, la Roverella ed il Cerro, le quali, grazie alla loro resistenza allo stress idrico, occuperanno molti spazi lasciati liberi da altre specie, arrivando anche a colonizzare aree ed altitudini mai raggiunti prima.

Ma il vero pericolo per le foreste italiane è il fuoco. L’aumento delle temperature, unito ad una maggiore frequenza di ondate di calore e periodi siccitosi, porteranno ad un aumento degli incendi boschivi. Ad aggravare la situazione contribuirà lo spopolamento delle aree rurali, fenomeno in atto dal dopoguerra e che potrebbe accentuarsi con il calo della produttività agricola causata dal cambiamento climatico. Se nessuno vive nelle aree rurali, i campi verranno abbandonati e col tempo diventeranno boschi. Può sembrare una buona notizia, ma il problema è che non ci sarà nessuno a gestire questi nuovi boschi e quelli già esistenti, che pure verranno abbandonati. Di conseguenza nessuno metterà in pratica delle misure necessarie a prevenire e limitare il rischio di incendi, come ripulire il sottobosco da rami e massa legnosa morta, diradamenti per ridurre la densità degli alberi o il pascolo degli animali in bosco.
Dovremo abituarci dunque a vedere un aumento di quelli che gli americani chiamano “Megafire”, ovvero incendi che interessano aree molto grandi. Come l’incendio che scoppiò in Sardegna nell’estate del 2021, dove bruciarono più di 20000 ettari; ed i danni non saranno limitati alle sole foreste, il fuoco si espanderà, riducendo in cenere interi villaggi con rischi grandissimi per la popolazione.

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Danni all’economia

 

Abbiamo visto come il cambiamento climatico agirà sul clima italiano e danneggerà le nostre città, l’agricoltura e le foreste; ma quali effetti avrà sulla nostra economia? Secondo il report se riusciremo a contenere l’incremento delle temperature medie sotto i 2°C, il PIL (Prodotto Interno Lordo) nazionale si abbasserà dello 0,5% circa rispetto ai livelli preindustriali. Può sembrare poco, ma nel 2019 ad esempio, il PIL italiano crebbe solo dello 0,3% e negli anni prima del Covid la crescita del PIL si è sempre attestata intorno a queste percentuali.

Se non riusciremo a contenere la crescita delle temperature sotto i 2°C e vedremo avverarsi lo scenario RCP8.5, allora dovremo aspettarci una perdita del PIL sui 2% con conseguenze ancora più gravi sulla nostra economia.  (Mcallum et al., 2013)

Ma vediamo nel dettaglio quali saranno i principali danni ed alcuni dei settori più colpiti della nostra economia. Abbiamo visto come i cambiamenti climatici porteranno ad un aumento del rischio idrogeologico, con un aumento di frane ed alluvioni, le quali, oltre a mettere in grave pericolo la popolazione, danneggeranno infrastrutture, abitazioni ed attività commerciali, per un danno calcolato tra gli 1,5 e i 15,2 miliardi di euro annui nel periodo 2071-2100. (Ciscar et al., (2018)

Abbiamo già parlato di come i cambiamenti cimatici danneggeranno l’agricoltura, e qui mi limiterò ad aggiungere che in caso di innalzamento della temperatura di 2°C e 4°C, il valore complessivo della produzione agricola persa potrebbe aggirarsi tra i 13 e i 30 miliardi di euro rispettivamente. Non poco, considerando che ad oggi l’agricoltura vale 522 miliardi, e che questo comporterebbe una perdita di valore del 5% circa. (McCallum et al., 2013)

Il turismo oggi occupa il 7% del PIL italiano, ma le variazioni di temperature potrebbero danneggiare anche questo settore. Molti turisti potrebbero decidere di non visitare un’Italia più calda e con un clima molto più instabile.
Per non parlare poi del turismo invernale: con l’incremento delle temperature molte stazioni sciistiche potrebbero ritrovarsi senza neve e sarebbero costrette a sostenere i costi altissimi per la produzione di neve artificiale, andando anche a competere con altri settori per l’uso dell’acqua. Secondo l’OCSE (Abegg et al., 2007), già in caso di una variazione moderata di temperatura (+1 °C), tutte le stazioni sciistiche del Friuli-Venezia Giulia non avrebbero una copertura nevosa naturale sufficiente a garantire la stagione. Lo stesso accadrebbe al 33%, 32% e 26% delle stazioni in Lombardia, Trentino e Piemonte, rispettivamente. Con un aumento di 4°C solo il 18% di tutte le stazioni operanti nel complesso dell’arco alpino italiano avrebbe una copertura nevosa naturale idonea a garantire la stagione invernale.

Danni causati da disastri naturali, perdita di valore dell’agricoltura e diminuzione dei flussi turistici, sono solo alcuni degli effetti del cambiamento climatico sull’economia. Potremmo parlare dell’aumento del consumo energetico necessario per rinfrescare le nostre abitazioni, del calo delle produzioni ittiche e di molto altro.

 

Conclusioni

 

Non sarà facile vivere nell’Italia del 2100, gli effetti del cambiamento climatico saranno duri e metteranno alla prova il nostro paese. Ma questo non significa che ci dobbiamo arrendere. In primo luogo, dobbiamo assolutamente tagliare le nostre emissioni di carbonio, per limitare i danni ed evitare l’avverarsi degli scenari peggiori. In secondo luogo, dobbiamo imparare a convivere con il cambiamento climatico, in poche parole dobbiamo adattare le nostre vite.

Le nostre città dovranno diventare più resilienti, limitando il consumo di suolo, fermando l’edificazione in aree a rischio idrogeologico e tutelando ed ampliando le aree verdi. Resilienza dovrà essere la parola chiave anche per l’agricoltura, la silvicoltura, per l’economia ed in generale per tutti noi. Abbiamo la capacità di resistere ed il dovere di farlo.

 

Carlo Fiandesio